Raffaella Rocchi

Peter Pan, di Raffaella Rocchi

Peter Pan di Rocchi Raffaella – Racconto in PDF formato A5

Quando lo vedo mi prende sempre un po’ di agitazione, come la prima volta. Oggi ancora di più, perché non mi faccio troppe illusioni sulla piacevolezza del nostro incontro.

Arrivo alla villetta in anticipo e, con un leggera stretta allo stomaco, suono il campanello.
Il cancello si apre con un rumore elettrometallico e mentre mi inoltro nel viottolo, il portone si apre. Lui è là, ritto, ad attendermi. La stretta allo stomaco aumenta, in un attimo lo raggiungo.
«Già qui?» commenta . Io mi preoccupo, ma ricaccio giù l’ansia insieme alla saliva. Entriamo.
«Due minuti», chiede gentilmente sparendo frettolosamente dietro una porta a vetri bianca. Rimaniamo nel chiaro salottino accogliente, io e la mia stretta allo stomaco. Il tepore e la luminosità, eccessiva forse, della stanza non allentano la mia tensione e lo attendo con il fiato un po’ sospeso.
Si apre la porta a vetri, eccolo è lui: sorridente, tutto in verde, piccolo di statura, corporatura sottile e leggera da ragazzino, con capelli biondo-rosso. Peter Pan. Mi si ferma il respiro, la stretta allo stomaco è diventata una morsa, perché io so, nonostante l’aspetto gentile e fanciullesco di cosa è capace. So che tormenti può infliggere. Lo conosco bene io.
«Vieni pure. » mi invita a seguirlo. Acconsento malvolentieri, lo stomaco é stritolato, il respiro corto, i piedi di piombo. Chiude la porta a vetri, nel corridoio a elle bianco e spoglio ci sono due porte chiuse, squilla un telefono.
« Scusami». Apre la prima porta e risponde al telefono. Questioni di lavoro.
Rimango sulla soglia, ignorando la conversazione. La stanza è teatralmente perfetta. La sistemazione dei libri e delle riviste nei ripiani delle librerie meticolosa, la disposizione del telefono, dei fogli per appunti, biro e tagliacarte sulla scrivania è rituale. Il legno scuro dei mobili e la pelle nera delle poltrone incupiscono l’atmosfera, ma è l’esasperazione dell’ordine e della pulizia a darmi i brividi. Riaggancia e mi è subito al fianco.
«Adesso non ci disturba più nessuno», mi assicura. Adesso ho proprio paura. Apre l’altra porta. Mi inonda una straniante luce bianca e uno stordente odore di ossessione igienica. Al centro un’enorme invitante poltrona, la sua complice. Lui è sereno e a suo agio, io terrorizzata e impacciata. Lo so cosa mi aspetta, lo so, lo so, lo so. Ma non riesco a dirgli di no. Mai. Ogni volta desidero scappare, ma non scappo mai. Ogni volta è l’ultima volta, ma torno sempre da lui … Perché? perché ho bisogno di lui. Oggi più che mai ho bisogno di lui.
«Siediti.» mi dice, indicando la poltrona anatomica soverchiata da un minaccioso braccio meccanico che lascia facilmente presagire le mie future sofferenze. Mi accomodo riluttante e desiderosa di andarmene. Per evitare tentazioni di fughe, incrocio le gambe e le dita dei piedi, sento il corpo pesante e legnoso, il respiro si fa sempre più corto. Saliva azzerata, gli occhi , nel tentativo di evitare il suo sguardo e qualsiasi strumento, notano un immenso televisore troneggiante sul muro, proprio di fronte alla poltrona .
«Sperimenti l’ipnosi catodica come anestetico?» domando in tono esageratamente scherzoso.
Lui ride, ma conosce bene il disagio, o meglio, il terrore delle sue vittime e prova a stemperarlo perché anche i più valorosi tremano al suo cospetto.
«Guarda ho le tue foto.» dice, indicando una specie di monitor. Ridacchia soddisfatto del suo umorismo.
Rivolgo l’ attenzione al macchinario. Emette una specie di luce bianca che rivela le mie segrete e tormentate imperfezioni orali.
Quell’immagine sinistra non mi diverte affatto. La mia risposta è un sorriso tirato, da cui i denti stretti uno all’altro terrorizzati riescono solo a sussurrare: «Che carino!».
Scambiando il sussurro d’angoscia per reale apprezzamento, continua incoraggiante «Così in caso di disastro aereo posso riconoscerti.»
L’incoraggiamento si rivela il colpo di grazia. Sadico ed efficace umorismo odontoiatrico: Come ogni volta che sono davanti a lui, al mio dentista, il respiro si ferma, mi sento fredda e terrea come la pietra, non parlo più, urlo in silenzio:il trapano!subito!

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